Luigi D’Elia da http://www.psychiatryonline.it/node/6153
Nulla come la professione di psicoterapeuta consente di affondare lo sguardo nello spirito del tempo e di cogliere o di isolare come fenomeni a se stanti, aspetti della contemporaneità in fieri afferrandone in anteprima elementi salienti e distintivi.
In questa rubrica ho provato a svolgere in molte occasioni questo compito focalizzandomi sull’osservazione dei nostri tempi e approfittando un po’ del privilegio del raccoglitore di storie o se vogliamo dell’estrattore di nuove forme di vita, stupendomi talvolta delle sensibili differenze tra quanto accade oggi e quanto accadeva solo pochi anni fa.
Testimone, spesso attonito, di questo scarto tra epoche contigue e vicinissime, spero non stordito dalla rapidità dei cambiamenti, mi cimento in descrizioni tentando semplificazioni a volte ambiziose, a volte impossibili.
È il caso del tema scelto per questo breve articolo, l’amore, le cui traiettorie il mio psico-sguardo intercetta quotidianamente in moltissime sedute, direi in quasi tutte, connotando a volte intere giornate di lavoro con pazienti diversi.
Dire qualcosa di invariante dell’amore è per me operazione impossibile che lascio volentieri a poeti e artisti, che molto meglio di me possono raccontarci ciò che muove il firmamento interiore dei sentimenti. Da osservatore sociale mi limito a cogliere invece le variazioni sul tema, o se vogliamo le varianti epocali, specialmente quelle culturalmente e socialmente determinate.
Una di queste varianti recenti che mi è capitato di osservare riguarda l’inedita cautela con la quale le ultime generazioni si approcciano alla vita sentimentale: si tratta per lo più di giovani adulti (ma anche non più giovani) che raccontano di non essersi mai innamorati o di aver conosciuto l’amore in rarissime e lontane esperienze giovanili o adolescenziali mai più ripetute, collezionando per il resto del tempo, quando non si tratti talvolta di vite vicine all’ascetismo o all’asessualità, di esperienze che definirei “para-sentimentali” quasi sempre brevi o medio-brevi per le quali non solo il piano progettuale della coppia non appare mai all’ordine del giorno, ma dove l’impegno reciproco in coppia è diventato misurato e dove il coinvolgimento emotivo è deludente e flebile. Talvolta ci si incontra ancora con una certa quota di passione iniziale che si sa già dapprima essere transitoria e fugace e ci si lascia presto senza troppi sussulti emotivi alla prima difficoltà o idiosincrasia caratteriale.
Spesso la vita amorosa viene vissuta come uno spauracchio da maneggiare con estrema cura districandosi tra ferite e cicatrici del passato, soglie al dolore psicologico e alla frustrazione bassissime, aspettative di fregature ricorrenti più che auto-profetiche, ed un sentimento diffuso di inadeguatezza alle vicende amorose come se la vita sentimentale fosse diventata una bella grana di cui si farebbe volentieri a meno.
Si giunge, per le donne in particolare, ma anche per gli uomini, ben oltre la soglia di una fertilità sufficiente con l’idea semidelirante che tanto ci sarà sempre tempo per pensare alla genitorialità. Questo essenzialmente a causa dello scarto, sempre maggiore in questa epoca, creatosi tra percezione di adultità e vita biologica: adultità sine die a fronte di una vita biologica certamente prolungata di alcuni anni, ma pur sempre con un limite. Sensazioni/percezioni senza limite e corpo con un limite. Questo è lo scarto incolmabile dell’oggi; vita psichica immaginifica (alimentata da codici sempre più immaginifici veicolati dai nuovi media) e vita biologica di fatto inalterata.
Non è raro incontrare ultraquarantenni con il progetto futuro di un figlio, vissuto incongruamente come un qualcosa di là da venire, ma del tutto privi/e di minime coordinate emotive e sentimentali per l’incontro con l’altro e completamente impreparati/e ad una vera condivisione della vita di coppia (che come sappiamo bene richiede autosuperamento e fiducia).
E se per i 30-40enni questa impreparazione appena descritta è già frequente, per le generazioni ancora precedenti la frequenza con la quale si intercettano giovani del tutto analfabeti (e quindi anche demotivati) rispetto alla vita sentimentale e di coppia è molto maggiore.
Difficoltà di capire le coordinate delle scelte di partnership dovuta ad una prevalenza di modalità proiettive su criteri fondati sulla verifica e l’esperienza. Difficoltà a leggersi dentro emotivamente, a leggere anche i segnali del corpo, ad integrarli ad una vita psichica affettivamente composita, parti di sé mantenute scisse, specie quelle relative alla sessualità ed impossibilità di utilizzare la sessualità come forma evoluta di conoscenza di sé e dell’altro e quindi impossibilità a capire con chi si ha a che fare e chi si ha veramente di fronte a sé.
Si pensava fino a poco tempo fa che gli innamorati fossero in grado di spostare le montagne, che l’amore che sboccia liberi quantità di energie psichiche inaspettate che fondano e fertilizzano la mente e il corpo. Dobbiamo revisionare questo immaginario dell’amore se non proprio archiviarlo.
Oggi la scena che troviamo di fronte a noi appare del tutto cambiata. L’amore (eros, sentimento e spirito) non è più esperienza così accessibile e non fertilizza più il tessuto sociale come non fertilizza più i corpi e le menti dei giovani con la sua componente trasformativa.
Gli amori esitanti stanno sorpassando di numero quelli coraggiosi e fondativi. Quale tipo umano ci riserva il futuro a partire da queste premesse?
Buonasera, mi scusi se intervengo su un articolo di quasi due anni fa.
L’analisi del problema che Lei fa mi trova d’accordo, e vorrei chiederLe: quale può essere alla luce della Sua esperienza di pratica clinica, in generale, un accorgimento, un’azione, un pensiero, un elemento di quotidianità, che, se inoculato in un quadro del genere, ha qualche possibilità di far tendere al cambiamento? Mi riferisco ad azioni sul piano personale e non sociologico generazionale.
La ringrazio
Gentile Cecilia, il mio lavoro clinico è un continuo confronto con “l’amore esitante”. Impossibile però rispondere alla sua domanda con risposte generali. Le ragioni per le quali ciascuno decide di sfidare lo spirito del tempo possono essere molto diverse da persona a persona. La ricerca di una stabilità personale, la ricerca di aspetti di realizzazione di sé attraverso la coppia, la ricerca di ideali personali e famigliari, la ricerca di riscatto da storie famigliari, il bisogno di creare una propria realtà autonoma, e molto altro ancora e magari un mix di tutte queste cose. Di sicuro non sono scelte soltanto basate sull’onda di una passionalità iniziale. Quando osservo giovani donne e uomini (ma anche meno giovani) avventurarsi in relazioni che si propongono di lunga durata la sfida vera è l’accesso all’età adulta a la maturata consapevolezza che essa produrrà con l’impegno e le responsabilità connesse un netto miglioramento della propria vita. E’ questa consapevolezza che è fortemente controintuitiva rispetto al sentire contemporaneo. Non so se sono riuscito, anche solo in parte a rispondere alla sua articolata domanda. Non esiti a dettagliare e a replicare. Buona giornata. Luigi D’Elia
La ringrazio, è stato gentilissimo. Immagino che i modi di sviluppare la consapevolezza di cui parla siano multiformi e pressoché infiniti.
Ancora tante grazie,
Saluti,
Cecilia