Personalmente ho svolto nei primi 20 anni della mia professione, dal 1991 al 2010, ben 9 supervisioni con 9 supervisori diversi, psicoanalisti e gruppoanalisti, accumulando alcune migliaia di “ore di volo”.
Sì, ho usato proprio l’accezione che generalmente si usa per i piloti di aereo per poterli definire esperti in quanto sono fermamente convinto che lo strumento della supervisione sia uno dei pochi strumenti di verifica che garantiscono ad un professionista del nostro settore un intervento di qualità.
Il supervisore non è però il deus ex machina che si sostituisce al collega che entra in stanza, ma è colui che svolge una funzione terziara e riflessiva (riflessione diagnostica e operativa) che accresce e migliora il pensiero clinico.
Ho svolto io stesso poi il ruolo di tutor e supervisore presso il Laboratorio di Gruppoanalisi per circa 10 anni fino al 2014 e poi privatamente sia presso lo Studio Pigneto, di cui sono stato fondatore, sia con i colleghi che personalmente me ne hanno fatto richiesta utilizzando anche talvolta Skype per i colleghi di fuori Roma.
Un’altra metafora piuttosto euristica per comprendere la funzione della supervisione, ed in generale del training formativo e osservativo di uno psicoterapeuta in formazione, mi è stata suggerita indirettamente dalla bottega artigianale/artistica del Rinascimento italiano (di cui l’immagine in testa all’articolo è un bell’esempio). La formazione di uno psicologo clinico è, dal mio punto di vista, paragonabile a quella dell’allievo di bottega, come provo ad argomentare in questo vecchio articolo sull’osservazione in gruppo. La funzione del supervisore dovrebbe dunque sviluppare la funzione osservativa e auto-osservativa dell’allievo o del giovane collega psicoterapeuta.