Tratto da Luigi D’Elia, “Ansia: le nuove regole d’ingaggio sociali e la riduzione delle territorialità psichiche” in “Ansia che fare. Prevenzione, farmacoterapia e psicoterapia” a cura di Lucio Demetrio Regazzo, Cleup 2010.
Scardinare i copioni di riferimento dentro i quali i sintomi psicologici si sono allignati e sviluppati è per lo psicologo clinico uno dei compiti principali. I sintomi, si sa, per mestiere vorrebbero invadere ed occupare tutto il campo mentale (anche del terapeuta), e in particolare i sintomi dei Disturbi d’Ansia.
Occuparsi della dimensione soggettiva, interpersonale e comunicativa dei sintomi1, più che di “entità nosologiche” che, in quanto tali, spesso si propongono come inseità astratte e poco utili clinicamente, rimane opzione primaria.
I fenomeni della vita mentale, quali sono i sintomi ansiosi, sono dunque incarnati in persone, radicati in storie personali e familiari, in medium sociali e culturali, in stili di vita.
Vorrei provare ad articolare un discorso psicodinamico e gruppoanalitico allargando l’orizzonte di esplorazione e concependo le variabili in gioco come campi di possibilità delle fenomenologie ansiose, in ordine alle matrici personali, familiari e sociali (sinteticamente definite come “campi socio-psichici”, D’Elia L., 2006) che concorrono all’instaurarsi, all’aumento e al mantenimento di queste forme di sofferenza psicologica.
Non v’è dubbio che i fenomeni dell’ansia oltre ad essere in netta ascesa negli ultimi decenni nel mondo occidentale, hanno diversificato ed in parte mutato le loro forme fenomeniche nel corso degli ultimi anni, modellandosi sulle condizioni di vita attuali e coerentemente coi mutamenti socio-culturali, oggetto di impressionante accelerazione.
I fenomeni ansiosi, assieme a quelli dipendenti, depressivi e compulsivi, sono forse quelli che più di altri rappresentano la contemporaneità e i suoi stili di vita, ne traggono linfa, costruzioni narrative, copioni ispiratori. Il modo di essere ansioso corrisponde ad un “ingorgo libidico”, come avrebbe detto Freud, oppure alla presenza interna/esterna di sempre nuove minacce al nostro apparato psichico.
Da curioso del rapporto tra mente e campo sociale m’interrogo su quali siano le variabili in gioco, a partire ovviamente dal vertice osservativo della clinica gruppoanalitica e del lavoro psicoterapeutico quotidiano.
L’analisi che qui conduco, sul confine delle variabili individuali, familiari e storico-culturali, nel suo essere necessariamente parziale, non vuole essere affatto esaustiva, ma complementare ad altri possibili vertici osservativi e ad altri modelli terapeutici, a partire in particolare da quello cognitivista dal quale ogni psicoterapeuta non può prescindere nella gestione di queste problematiche. La prospettiva che qui introduco è dunque integrante e non in contrasto con altre.
Impegni maturativi, cicli di vita e ansia
Ogni passaggio maturativo, dall’inizio alla fine della vita, comporta profonde riconfigurazioni di sé, di sé con l’altro, di sé con i propri compiti personali e sociali.
Gli psicologi clinici hanno imparato ad osservare e riconoscere le impellenze relative ad ogni momento maturativo personale.
In età evolutiva tali tappe di sviluppo appaiono più rapide in concomitanza di numerosi fattori, bio-psico-sociali. Occorre però imparare a riconoscere anche tutti quegli altri passaggi legati a snodi del ciclo vitale che sono successivi a quelli “dell’età evolutiva” propriamente detti, che riguardano:
1. l’adolescenza
2. la tardo-adolescenza 3. l’età giovanile 4. la “maturità” 5. la maturità avanzata 6. la terza età 7. la terza età avanzata |
Mai come in questa epoca ed in questa parte del mondo, è diventato più complesso per l’individuo transitare tra questi passaggi del ciclo vitale, modificando mete interne, scopi espliciti, obiettivi sociali, autorappresentazioni e appartenenze identitarie, non potendo più contare su “bussole certe” come avveniva fino a poche generazioni fa.
Non si tratta di confini cronologicamente netti e precisi quelli ai quali mi riferisco, quanto piuttosto di assetti mentali legati a dinamiche psicologiche che rimangono anacronisticamente attuali anche in fasi successive del ciclo vitale. Non è affatto raro ritrovarsi con retaggi psicologici para-adolescenziali anche in fasi successive.
Non mi soffermo su ogni “strumentario” psico-sociale relativo ad ogni passaggio (richiederebbe ben altro spazio), mi limito ad esplorare a grandi linee alcuni passaggi critici di questa sequenza che costituiscono l’humus delle sintomatologie ansiose.
Nella mia osservazione ed esperienza clinica, due in particolare le aree critiche che cimentano gli individui della postmodernità nei passaggi tra la tardo-adolescenza e la maturità passando per l’età giovanile (punti 2, 3 e 4):
- l’area affettiva (relazioni sociali, familiari, sentimentali, sessuali) [vedi paragrafo successivo]
- l’area socio-lavorativa (impegni formativi, lavorativi, sociali, progettualità personali).
In questi frangenti i fenomeni ansiosi rappresentano l’immancabile espressione delle forti preoccupazioni che accompagnano la vita di tardo-adolescenti, giovani adulti e adulti maturi, nella loro progettazione esistenziale.
Il sintomo è pensabile come segno di linee di frattura delle tappe di evoluzione della singola persona (…) Le linee di frattura denotano l’esistenza di una “realtà non pensabili” ed indicano la topologia dei buchi rispetto ai contenuti tematici culturali nelle strutture stesse del pensiero.(Pontalti C., Menarini R., 1985)
Le sfide maturative appaiono per molti contemporanei davvero troppo alte. Si giunge talora alla vigilia di certi passaggi epocali senza l’armamentario sufficiente ad affrontare – lo punteggio in una sequenza standard che ha solo valore descrittivo – una storia sentimentale impegnativa; o una responsabilità maggiore nell’ordine di una coniugalità più compiuta; o scelte progettuali di coppia meno transitorie; o una riformulazione delle relazioni con la propria famiglia di origine, per quanto riguarda l’area affettiva. Ed ancora: l’affrontare la chiusura di un ciclo scolastico e formativo; intraprendere impegni professionalizzanti; affrontare dislocazioni sociali legate a nuovi interessi e nuovi impegni; entrare (o provare ad entrare) nel mondo del lavoro con i suoi tempi disumani, le sue regole talvolta crudeli e alienanti, le sue gruppalità incentrate sulla competitività ed il cinismo – questo per quanto attiene all’area socio-lavorativa.
Negli ultimi decenni le regole d’ingaggio2 che riguardano gli impegni maturativi degli individui sono cambiate:
“I passaggi che fino a una/due generazioni fa erano generalmente regolati silenziosamente da impliciti sincronizzatori socio-culturali sia per le modalità di transito, sia per le specifiche funzioni di ciascun passaggio (…), oggi sono stati delegati al singolo individuo il quale è costretto a gestirsi da solo un carico simbolico-procedurale immane, dovendosi di volta in volta “inventare” ciò che attiene ogni passaggio e ad ogni funzione, senza il conforto di riferimenti chiari”(D’Elia L., op. cit. 2006).
Sentimenti di inidoneità si accavallano a vissuti di impotenza e a franchi vissuti di paura legata alla percezione di inadeguatezza verso questa miriade travolgente d’impegni, declinati spesso come imprese titaniche, spesso all’insegna dell’ipercomplessità, in uno scarto sempre incolmabile tra modelli comportamentali idealizzati (spesso ipercodificati da modelli sociali e mediatici) e reali o percepite possibilità personali.
In relazione agli snodi maturativi, l’ingorgo libidico di freudiana memoria può senz’altro essere esteso e ri-tradotto come ingolfo di compiti maturativi, accumulo non smaltibile di incombenze personali e relazionali, intasamento di responsabilità legate ad attese alte e talora confuse.
I campi familiari dell’ansia
Proprio a partire dai cambiamenti degli assetti del mentale collegati all’ansia, non si può non soffermarsi sui poderosi mutamenti che riguardano le nuove regole d’ingaggio del famigliare negli ultimi decenni.
La letteratura descrive sovente sia una “familiarità” dell’ansia, sia una più specifica radice familiare per quanto riguarda la mancata elaborazione di traumi o lutti transgenerazionali. Queste prospettive genetiche o traumatiche, pur essendo spesso riscontrabili nella pratica clinica, non sono le uniche, e non sono ancora sufficienti, secondo la mia opinione, per comprendere il ruolo dei campi psichici familiari nella formazione dei sintomi ansiosi in una prospettiva gruppoanalitica.
Strutture, organizzazioni, ruoli, funzioni, aspettative e simbologie nelle famiglie odierne hanno subito stravolgimenti radicali senza però che tali cambiamenti siano stati sufficientemente metabolizzati e “aggiornati” dagli individui.
I campi familiari sono il crocevia tra identità personale (autorappresentazione della propria individualità) e identità di appartenenza (autorappresentazione delle gruppalità riunite attorno ad operatori simbolici accomunati, Pontalti C., 1999).
“L’unità minima di riferimento per rintracciare le trame di significazione della patologia non è quindi l’individuo ma lo scenario intrecciato tra storia, ambientazione, affresco familiare” (Pontalti C., 2006).
L’osservatorio privilegiato dello psicoterapeuta consente di esplorare i campi familiari e le inedite faticosità inerenti il transito tra la dimensione filiale, quella coniugale, fino al diventare nonni nell’età avanzata, nella negoziazione incessante con le matrici familiari reali e internalizzate.
Occorre interpolare questo piano osservativo con il precedente, relativo alle tappe maturative individuali e scorgervi le trame che s’aggrovigliano nel corso delle attuali esistenze andando a selezionare e rendere prevalente il sintomo ansioso, proprio sotto-forma del groviglio familiare, spesso portatore di suoi segreti, non detti, aree criptate, storie secluse a livello transgenerazionale.
L’esplorazione tramite genogrammi e sociogrammi (Schutzenberger A. A., 2004) consente di rintracciare in alcuni sviluppi delle storie familiari, alcuni inciampi ricorrenti incorsi sulle linee paterne o materne che funzionano da indicatori significativi di quelle “pratiche inevase” lasciate alle incombenze delle ultime generazioni.
Questa esplorazione clinica richiede però una pratica ed un orecchio particolarmente allenato sui campi storici familiari, che non sempre lo psicoterapeuta possiede o, semplicemente, è addestrato a concepire ed utilizzare.
Qui ci riferiamo soprattutto a quella specifica area del campo storico familiare che attiene alle fenomenologie ansiose e ai suoi tipici correlati di riduzione delle territorialità psichiche.
Il riferimento principe per comprendere la riduzione della territorialità e della pulsione esplorativa è l’articolo di Corrado Pontalti “Disturbi di Personalità e Campi Mentali Familiari. Disturbo dipendente e contesto” (Pontalti C., 1999)
Uno degli esiti delle fenomenologie ansiose (specie quelle parossistiche) riguarda proprio la riduzione drastica delle territorialità psichiche (e non) e la coartazione del mondo emotivo e sensoriale. Secondo Pontalti questa riduzione del campo psichico può incanalarsi in due strade o in due tipologie:
“Le due tipologie sono enucleabili valutando il grado di espressività della funzione esplorativa.Vi è quindi una prima tipologia caratterizzata da itinerari evolutivi di vita con progressiva autolimitazione delle territorialità abitabili. Si tratta di persone che lavorano, si sposano, hanno figli. Piano piano gli eventi della vita, che impegnano nuovi apprendimenti al confine di situazioni non familiarizzabili dai saperi precedenti, evocano un senso soggettivo di grande faticosità e stato di allarme. La funzione esplorativa sembra impallidire per carenza di codici di mediazione al confine delle nuove evoluzioni.
La seconda tipologia è caratterizzata dall’arresto della funzione esplorativa. Progressivamente la vita si arresta e la persona-paziente abita una territorialità ridottissima che quasi sempre coincide con la sua casa e spesso, in quello che definiamo autismo, abita solo parte della propria mente. Ogni tentativo di stimolare un ampliamento territoriale provoca angoscia e contrapposizione più o meno violenta.
La semeiotica differenziale tra le due tipologie è ancorata alle seguenti caratteristiche.
Nel primo caso la dipendenza è dipendenza da un territorio simbolico, da codici familiari e comunitari. I referenti di senso sembrano abitare il mondo interno della persona, ma di fatto sono la riduplicazione di matrici comunitarie che non sono trasformabili al confine di nuove esperienze e di nuove incombenze mentali di vita.
Nel secondo caso la dipendenza è dipendenza da un territorio fisico che non può nemmeno essere simboleggiato: i codici di senso vivono nel territorio fisico e la persona può abitare solo quella territorialità, nel significato più concreto del termine. Ancora una volta noi siamo confrontati con le caratteristiche di protezione che la persona deve frapporre tra il sentimento di Sé e l’Altro. Nella dipendenza, bloccata entro una territorialità fisica, le relazioni familiari sono immediatamente rappresentate al di là del confine e quindi esse stesse sono causa di allarme, angoscia, persecutorietà. Non i fantasmi abitano il paziente, ma le relazioni attuali sono i fantasmi” (Pontalti C., op.cit. 1999).
Se è vero che gli esiti concreti dei sintomi rimandano in parte alle loro finalità inconsce, dobbiamo immaginare che la riduzione della territorialità psichica che avviene in molte forme di disturbi ansiosi risponde ad aspetti auto-coercitivi necessari al mantenimento di equilibri “protettivi” di apparati psichici evidentemente sotto forte minaccia.
“In presenza di un eccesso d’incertezza la psiche umana si difende legittimamente proteggendo ciò che ha già come acquisito e, si arrocca recedendo su posizioni meno fluttuanti: la famiglia di origine o in alternativa la coppia stabile non generativa (ma potrebbe essere anche il lavoro), che diventano immediatamente territori psichici di rifugio (almeno nell’immaginario)” (D’Elia L., op. cit., 2006 ).
Il recinto familiare rappresenta perciò l’inerziale campo gravitazionale dove ricadere e rifugiarsi in presenza di condizioni assolutamente incerte, irraggiungibili e dunque ansiogene. Ma diventa al contempo l’area claustrofilica e narcotizzante che tende a spegnere ogni movimento esplorativo e maturativo dell’individuo.
Questa doppia funzione (protettiva e narcotica) dei territori familiari rinforza direttamente e indirettamente la sintomatologia ansiosa.
La riduzione dei territori psichici riverbera immediatamente sullo sviluppo e sull’articolazione dei ruoli/funzioni familiari.
Qui di seguito i transiti tra aspetti identitari legati alle appartenenza a ruoli/funzioni familiari:
1. figli piccoli/giovani
2. figli adulti 3. fidanzati/compagni 4. coniugi 5. genitori 6. nonni |
Ogni transito pone problemi difficili e complessi nel declinare i codici attinenti il proprio specifico identitario e operativo. Ebbene, mentre tali transiti, caratterizzati da corollari e modalità comportamentali, rappresentazionali, procedurali, nel recente passato erano scanditi da specifiche ritualità e processi simbolopoietici comunitari ed avvenivano dunque con minore ansia personale, oggi questo carico simbolico-procedurale ricade in maniera incombente sui singoli individui (o sulle coppie), i quali ovviamente se ne sentono schiacciati o oltremodo oberati in quanto oggettivamente impossibilitati a declinare solitariamente il senso di ciò che atteneva (ed attiene) a gruppi familiari, comunità, tradizioni culturali.
Il singolo non può svolgere il lavoro psichico appartenente da sempre a gruppi con storia.
Ed allora, la prima competenza che cede o si riduce drasticamente è la capacità degli individui di tenere assieme situazioni complesse, di organizzare piani complessi riguardo le proprie appartenenze identitarie e familiari. Ogni passaggio successivo è vissuto come dispersione, annullamento, cessazione del precedente, e non come articolazione di ruoli e funzioni familiari su scenari più complessi: un coniuge non cessa di essere figlio, un genitore non cessa di essere coniuge e figlio, e così via, e tuttavia è quanto comunemente viene vissuto nelle ultime generazioni.
I campi storico-culturali e sociali dell’ansia.
“Nel 1947, dopo Hiroshima, Daniel Halévy ci poneva deliberatamente nella prospettiva di un’accelerazione della storia. Circa sessant’anni dopo, ci troviamo, questa volta, nella prospettiva dromologica, quella cioè di un’improvvisa accelerazione della realtà, in cui le nostre scoperte tecnologiche si rivoltano contro di noi e in cui certe menti deliranti tentano di provocare a ogni costo l’ incidente del reale, questo urto [télescopage] che renderebbe indiscernibili verità e realtà fallaci – in altre parole, mettendo in opera l’arsenale completo della DEREALIZZAZIONE”(Virilio P., 2004) .
Basti pensare all’assenza dei cosiddetti disturbi di panico fino a pochi anni fa e balza agli occhi di chiunque quanto sia indispensabile interrogare la recente storia per comprenderne alcuni aspetti essenziali.
Le ricerche internazionali rilevano sia l’aumento vertiginoso delle fenomenologie ansiose (nelle varie forme) negli ultimi anni, sia i costi sociali altissimi relativi a quest’ordine di problematiche, tanto da registrarne il primato sia tra le psicopatologie, sia in relazione all'(ab)uso di farmacoterapie connesse (categorie farmaceutiche al top dei bilanci delle industrie produttrici).
Queste evidenze, da sole, devono far riflettere su come i piani socio-economico-culturali s’intersechino con quelli individuali e familiari, e su come l’infosfera e l’organizzazione socio-economica siano diventatate, coi loro effetti di “derealizzazione”, non tanto una causa efficiente e lineare, quanto piuttosto il bacino di utilizzo dei copioni ansiogeni (come dei copioni compulsivi, bulimici, psicopatici, etc.).
Per una rassegna del rapporto circolare tra ansia, infosfera e sistema socio-economico, consiglio l’imperdibile “Raccontar guai: che cosa ci minaccia, che cosa ci preoccupa”, di Graziella Priulla (Priulla G. 2004).
Viene dunque da domandarsi, potendo confrontarci con le generazioni e le epoche storiche appena precedenti, quali siano state quelle trasformazioni degli stili di vita che abbiano determinato l’impennata dell’ansia (nella fattispecie).
L’aspetto che l’esperienza clinica evidenzia più di tutti riguarda i vistosi cambiamenti nella gestione del tempo della quotidianità negli ultimi anni.
Su questo versante assistiamo a modifiche radicali degli stili di vita di individui e famiglie sulle quali gli psicologi hanno svolto poche riflessioni organiche.
Ciò che emerge chiaramente dai nuovi stili di vita in relazione alla gestione del tempo è:
- la drammatica contrazione del tempo libero – nella accezione dell’otium latino – (torno a casa, sono stravolto dalla stanchezza e ho voglia solo di dormire)
- l’assimilazione/indistinzione dei tempi lavorativi a quelli privati; sovra-codifica dei valori lavorativi e colonizzazione dei valori personali e sociali (non si stacca mai dal lavoro; il lavoro è ciò che definisce maggiormente la mia identità personale)
- la mancata assegnazione di tempi riguardo le priorità personali e la sensazione che tale assegnazione non sia gestibile in prima persona (non trovo il tempo per pensare a me e a parlare con i miei cari; non riconosco più cosa è importante per me)
La realtà, o solo la sensazione, di non aver più tempo, ma soprattutto di non avere più un tempo dedicabile a sé e ai propri cari, in quanto non previsto, non concepibile, non assegnabile, annulla la possibilità di coltivare il proprio mondo interiore.
Ad una contrazione dei territori psichici segnalati nel paragrafo sui campi familiari, si associa quindi una contrazione del tempo che tende ad annullare il contatto con i propri mondi sensoriali, emotivi ed affettivi.
Un secondo aspetto, legato al precedente, che marca una differenza vistosa con le generazioni e le epoche precedenti è il mutato rapporto con l’infosfera, e le tecnologie connesse.
Scrive Virilio: “Ormai, con la rivoluzione della comunicazione audiovisiva, assistiamo (in diretta) ai disturbi della percezione stroboscopia dell’informazione; di qui la confusione non solo delle nostre immagini oculari, ma soprattutto delle nostre immagini mentali”(Virilio P., op. cit.) .
Un terzo aspetto riguarda le mutate regole d’ingaggio della socialità e la frammentazione delle comunità (Bauman Z. 2001). Qui assistiamo alla progressiva erosione dei territori sociali, al loro disinvestimento. Aumenta dunque il deficit di appartenenza degli individui che non riescono più ad individuare nella dimensione pubblica una valida possibilità di declinare processi simbolopoietici necessari ai propri passaggi e i propri compiti maturativi.
A tal proposito essenziale il testo di Franco Fasolo “Sviluppi della soggettualità nelle reti sociali. Psicoterapie di gruppo e carte di rete in psichiatria di comunità” (Fasolo F., 2005) e la sua elaborazione sui cosiddetti “legami deboli”.
Una vignetta clinica
(omissis)
[…]
Conclusioni: la prospettiva gruppoanalitica per la terapia dell’ansia.
La prospettiva gruppoanalitica allarga il campo di possibilità euristiche del progetto terapeutico con la persona sofferente di disturbi di ansia, potendo esplorare i copioni personali, familiari e sociali nei quali la modalità ansiosa si è andata formandosi, ma potendoli pure disarticolare.
L’ansia, correlato biologico e psicologico di un organismo realmente minacciato, è diventata nella postmodernità la risposta parossistica all’aggrovigliamento delle regole d’ingaggio sui piani maturativi personali, sui piani dei ruoli/funzioni identitari familiari, sui piani della pervasività dell’infosfera, dell’accelerazione della realtà, dell’esproprio del tempo, della frantumazione delle comunità sociali di riferimento.
Il copione ansioso si sviluppa all’interno di transiti maturativi personali, di matrici familiari caratterizzate da limitate possibilità esplorative, di campi socio-culturali divenuti sempre più restrittivi, neganti la vita interiore e di relazione, indisponibili all’elaborazione simbolica comunitaria dei passaggi e delle appartenenze.
La prospettiva gruppoanalitica contempla l’esplorazione di quelle dimensioni della vita mentale fin qui descritte che le nuove e complicate regole d’ingaggio tendono a criptare. Infatti, la ridotta capacità di procedure complesse, che qui abbiamo descritto, attinenti al pensiero, agli snodi maturativi, alle articolazioni delle funzioni familiari, all’inondazione tecno-comunicativa, alle nuove difficoltà socio-lavorative, alla gestione impossibile del tempo e dei nuovi stili di vita, tutto ciò è circolarmente motivo ed esito delle fenomenologie ansiose. Potremmo dire in sostanza che l’ansia è una forma di mimesi della contemporaneità.
Il gruppo terapeutico, in quanto contesto neo-culturale, riapre i giochi che erano chiusi, rimescola le carte e ripropone uno scenario comunitario. Esso offre uno spazio psichico sia di sospensione che di esplorazione di possibilità che, nel suo essere plurale, risponde al bisogno antropologico di metabolizzare in un’ambientazione comunitaria quelle procedure simboliche che sono alla base della vita psichica di ogni persona.
Bibliografia
Bauman Z., 2001“Voglia di comunità”, Laterza, Roma-Bari 2001
Caporali M. e Bombetti F., 1995, “La terapia dei disturbi d’ansia in gruppoanalisi”, in Manuale di Gruppoanalisi. Oltre l’individuo: teoria, tecnica e indicazioni della psicoanalisi “attraverso il gruppo” Marco Zanasi, Nicola Ciani, Franco Angeli Editore.
D’Elia L., 2006, La mission sociale della psicoterapia. Parte 2 Fasi vitali, coppie e famiglie: istruzioni per l’uso in AltraPsicologia.it
Fasolo F., 2005,“Sviluppi della soggettualità nelle reti sociali. Psicoterapie di gruppo e carte di rete in psichiatria di comunità” Cleup, 2005
Freud S., 1915 Introduzione alla psicoanalisi, trad.it. in Opere, vol.VIII, Boringhieri, Torino, 1976
Pontalti C., Menarini R., 1985: “Le matrici gruppali in psicoterapia familiare” Terapia Familiare 19/1985
Pontalti C., 1999, “Disturbi di Personalità e Campi Mentali Familiari. Disturbo dipendente e contesto” Rivista di Psicoterapia Familiare, Fascicolo 9, Franco Angeli Editore, 1999.
Pontalti C., 2006,“Prospettiva Multipersonale in Psicoterapia. Connessione o lacerazione dei contesti di vita”. In Lo Coco, G. – Lo Verso, G. “La Cura Relazionale”, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006
Priulla G., 2005,“Raccontar guai: che cosa ci minaccia, che cosa ci preoccupa”,, Rubbettino Editore, 2005
Schutzenberger A. A., 2004 “La Sindrome degli Antenati”, Di Renzo Editore, 2004
Virilio P., 2004 “Città panico. L’altrove comincia qui”, Raffaello Cortina, 2004
1 “Noi non vogliamo semplicemente descrivere e classificare i fenomeni, ma concepirli come indizi di un gioco di forze che si svolge nella psiche, come espressione di tendenze orientate verso un fine che operano insieme o l’una contro l’altra. Ciò che ci sforziamo di raggiungere è una concezione dinamica dei fenomeni”. (Freud S., 1915).
2 Utilizzo una terminologia d’uso militare (ad enfatizzare l’imperio dei mandati interni/esterni nei percorsi maturativi), ma che origina dal latino in-vadiàre, metter pegno, promessa, impegnare. Ogni im-pegno esistenziale comporta una contropartita e regole di scambio che sono variabili a seconda delle coordinate culturali in atto. Sembrerebbe che il pegno che oggi si paghi sui compiti maturativi sia divenuto incomparabile in relazione alla contropartita, divenuta invece meno chiara.