Alla ricerca del disperso libretto d’istruzioni delle coppie
Non riesco ad innamorarmi di nessuno. Nessuno mi trova all’altezza di una relazione. Non ci capiamo più, ho scoperto che non ci amiamo, ho scoperto un lato oscuro dell’altro che non avevo mai visto prima. Non facciamo più l’amore come una volta (o spesso come una volta), non c’è più attrazione, perciò non ci amiamo più. Non la/lo sopporto più, ho un sentimento di estraneità. Non siamo più complici. Lui/lei mi ha tradito, è finita. Non capisco più davvero cosa voglio in questa relazione. Non trovo più alcun senso nell’essere in coppia.
Questo un fuggevole e casuale repertorio di frasi che echeggiano spesso in uno studio di psicoterapia (ma non solo lì). Naturalmente non esiste alcun libretto d’istruzioni per la coppia contemporanea, né per la coppia di epoche precedenti, seppure la sensazione del suo smarrimento persista. La sensazione cioè che chi pensa alla propria coppia o si pensa in coppia oggi, appaia nei suoi vissuti e nelle sue rappresentazioni depistato rispetto alla costruzione e alla continuità della coppia stessa, aspetti questi che fino a ieri apparivano assolutamente a portata di mano.
Se è vero, come appare vero, che il discorso della postmodernità ha disarticolato e confuso (tra le altre cose) lo spessore progettuale della coppia, come cambia di conseguenza il lavoro dello psicoterapeuta in merito a queste vicende dal momento in cui le variabili sistemiche in gioco sono di fatto ubiquitarie e coinvolgono quasi tutte le coppie contemporanee?
Al contempo il piano collusivo che talora gli individui e le coppie realizzano, nel discorso iper-semplificato che viene svolto, in complicità con le principali rappresentazioni sociali e talvolta con taluni sistemi terapeutici e con certe culture cliniche ancora sopravviventi, che operano una sorta di scotomico maquillage normalizzante (sessuologico, pedagogico, terapeutico), è a volte sconfortante.
Il dato saliente sul quale vale la pena, invece, di soffermarsi è che il discorso postmoderno nella sua azione disarticolante favorisce la fine della coppia in quanto ulteriorità, intendendo con ciò la fine della rappresentazione condivisa della coppia come entità sovraordinata rispetto alle singole individualità che la compongono, e come paradigma di realizzazione di sé. Ricordiamo, con Scabini e Cigoli (2000), che l’unione di coppia muta la sua natura nel corso della storia e passa, durante la modernità, da contratto tra le famiglie di origine a patto (socializzato) tra i coniugi al fine di una realizzazione personale. Nella postmodernità assistiamo al tramonto anche di questo secondo tipo di patto (viene cioè de-socializzato) e ad un cambio di registro i cui contorni appaiono ancora del tutto confusi e che vedono, per intanto, una centratura autoreferenziale sui bisogni individuali e la perdita di profondità sociale e simbolica del patto stesso.
Se però ipotizziamo che coppia, famiglia e generatività si situano, comunque, fin dalle origini della vita sentimentale di ognuno, su un continuum psicologico unico e indissolubile che costituisce un piano profondo dell’individuo che giustifica il decentramento di sé, possiamo comprendere meglio cosa il discorso postmoderno tenda a scompaginare. Tale continuum, scritto in profondità, è stato messo in crisi da nuove sovrascritture fino a minare il senso di stabilità delle coppie, seppure il vivere in coppia continui ad essere ancora un obiettivo in sé capitale, un traguardo evolutivo personale prevalente.
Se ci affacciamo nelle rappresentazioni della vita di coppia nelle epoche precedenti, il fidanzamento costituiva uno stato necessariamente transitorio puntato fortemente verso la progettualità e la generatività. Il famigliare e il sociale nelle società antiche e fino ad epoche più vicine a noi, sconfinavano facilmente l’uno nell’altro, e la coppia viveva come una forma di iniziazione alla piena età adulta il passaggio alla coniugalità come l’attestazione di un ingresso a pieno titolo nella società. Tutto ciò è sempre stato contrappuntato da precise simbologie, mitologie, ritualità.
Oggi invece gli individui delle coppie contemporanee devono incessantemente domandarsi e ri-domandarsi in sfinenti negoziazioni da un lato perché sono insieme, cosa li tiene profondamente uniti all’altro/a, cosa permette loro di andare avanti, e dall’altro a cosa sono costretti a rinunciare, come possono cambiare la loro scomoda posizione, come possono cambiare l’altro per essere più felici e per corrispondere maggiormente ai propri desideri, come possono evitare le mille gravosità e frustrazioni provenienti dall’altro e/o dalla relazione di coppia.
Volendo usare una metafora informatica, sarebbe come dire che gli individui delle coppie contemporanee si ritrovano a fare i conti con una doppia serie di comandi contraddittori che impallano il sistema operativo: da una parte c’è un software, probabilmente più “originario”, più datato e debitore dei modelli di coppia precedenti, che corrisponde ad un richiamo ancestrale e collettivo, che impartisce istruzioni orientate alla valorizzazione maturativa dei progetti di coppia (e poi di famiglia). Dall’altra parte c’è un software, più recente, ma altrettanto potente, che impartisce istruzioni opposte e contrarie che impongono prepotentemente la dittatura dei bisogni individuali. Si realizza in tal modo un conflitto di istanze profonde che difficilmente trova momenti di composizione.
Molte sofferenze delle coppie contemporanee sembrano risiedere proprio nei tentativi di composizione di istanze inconciliabili: da una parte comprendo che la coppia è importante in sé ed anche per me, sento che vorrei e potrei realizzare me stesso nella coppia, ma questo progetto mi appare oltremodo faticoso, antieconomico, talora lontano se non proprio contrario ai miei principi, praticamente impossibile, inconciliabile, irraggiungibile.
Ovviamente non è possibile dis-installare chirurgicamente uno dei due software in conflitto dal sistema operativo.
La centrale di senso si sposta dalla coppia (e ciò che seguiva, matrimonio e figli, come compimento), all’individuo che diventa alfa e omega del progetto di coppia, spostamento questo che produce come è intuibile un paradosso irrisolvibile.
I conflitti più deflagranti avvengono infatti sul piano narcisistico di ciascun membro della coppia, dove le lacerazioni risultano più profonde e meno cicatrizzabili. Tale piano corrisponde alla scoperta dell’irraggiungibile alterità (a volte alienità) dell’altro della coppia, scoperto ben presto come distante, indifferente, chiuso a sua volta nei suoi irriducibili bisogni e interessi e nel suo guscio narcisistico, talora ostile, estraneo, ingombrante, frustrante, e dunque indisponibile a corrispondere, soddisfare, adempiere alle attese consolatorie, confermative, se non adoranti, nei propri confronti.