Le 6 più comuni false credenze (dispercezioni) delle coppie contemporanee
Le coppie odierne si ritrovano a gestire cambiamenti di paradigmi negli ultimi 3-4 decenni, arco temporale questo che per impatto mutageno sulla psiche e rapidità corrisponde, se paragonato ad altre epoche storiche, al passaggio di un’intera era.
Se ci limitiamo solo alla vita delle coppie, nell’arco di una generazione o poco più tutto appare capovolto: ad esempio solo fino a pochi anni fa la coppia si fondava su alcuni impliciti capisaldi tra i quali: a) il partner era per sempre; b) la coppia preconiugale (fidanzati) era transitoria e confluiva presto verso matrimonio e famiglia. Capisaldi questi oggi capovolti: il partner va bene finché dura e la coppia non procede più automaticamente verso la famiglia.
Dal momento in cui negli ultimi decenni è la soggettualità che fonda la reciprocità nel mondo psichico della coppia progettuale, della famiglia, delle relazioni genitoriali” (Pontalti C., 1992), assistiamo dunque ad una disarticolazione dei percorsi precedentemente citati che produce forme di disorientamento e continue decontestualizzazioni di senso riguardo la vita di coppia, nell’arco di un tempo antropologicamente troppo breve per essere metabolizzato dagli individui. Queste decontestualizzazioni assumono il carattere della dispercezione, ovverosia dell’equivoco, del fraintendimento profondo e depistante che va a disorientare gli individui riguardo gli obiettivi della coppia. Ma vediamo alcune di queste dispercezioni e come individui e coppie contemporanee vengono da esse depistate.
Prima dispercezione: l’illusione che basti la promessa di amore a costruire il progetto di coppia. Molti contemporanei fondano l’approccio alla vita di coppia quasi esclusivamente sull’area della passionalità e dei sentimenti erotico-amoroso-romantici. Ovviamente lo scarto tra l’affievolirsi fisiologico in pochi mesi di questi sentimenti e un nuovo e sconosciuto paradigma di legame di coppia dove alla passione subentrino altri imprecisati sentimenti che non siano solo di delusione, trova molti di noi del tutto impreparati ad affrontare un progetto solo poco più articolato di quello iniziale. Questo passaggio critico, tradotto qui come dispercezione, dimostra in qualche modo la fatuità del primato giovanilistico protratto all’infinito a partire dalle esigenze convulse e consumistiche della nostra epoca. Tale paradigma sembra infatti fondarsi sull’idea infantile, quanto irrealistica, di una fonte d’amore illimitata e costante ed una partnership incondizionatamente rassicurante, confermante e accettante come modello implicito della relazione (una sorta di paese dei balocchi creduto come reale). L’idea che la coppia risulti un sistema di accudimento reciproco altamente imperfetto, quale esso è, è principio difficilmente elaborabile all’interno di questa dispercezione.
Seconda dispercezione: l’illusione del patto privato interno. È opinione diffusa e sentimento comune che la coppia contemporanea debba reggersi sulla forza e le motivazioni dei singoli componenti e del loro reciproco giuramento di lealtà. Tale patto, che ha sempre più assunto carattere privato e disperso l’orizzonte sociale, viene generalmente vissuto come diritto inalienabile, zona sacra, territorio giuridico autodeterminato, dentro il quale nessuno può ed ha diritto di entrare, ma dove si immagina anche che il patto che una coppia realizza sia costruito con il materiale solido dell’affetto, della complicità, della dedizione tra i partners.
Ovviamente un siffatto patto introflesso alla lunga non regge, per cui si ricade in una sfinente ed interminabile rinegoziazione tra i partners, un’asfittica partita tutta giocata all’interno. L’assenza di garanti metapsichici (Kaës, R., 2008) precedentemente veicolati dalla ritualità nuziale (oggi sempre più svuotata di capacità mutativa e maturativa nonché di nesso sociale), espone gli individui a gestire sempre più spesso in assoluta solitudine e in regime di vacatio legis, procedimenti simbolici precedentemente affidati a gruppi e reti sociali di riferimento, “oggi la coppia coniugale è l’anello fragile ed infragilito della rete sociale” dice Pontalti (1992). Il riferimento è soprattutto all’attribuzione di senso che un individuo dovrebbe riuscire a svolgere in merito alle proprie nuove prerogative coniugali, i mutati rapporti con le famiglie di origine, l’eventuale accesso alle funzioni genitoriali e tutto quanto attiene all’essere coppia dentro una società. Tale operazione, avendo perso sfondo e supporto sociale, essendo stata cioè la coppia e la famiglia di fatto “dis-iscritta” dal Sociale, appare alquanto avventurosa dal momento che nessun singolo o nessuna coppia è in grado di realizzare solitariamente elaborazioni simboliche che di per sé attengono al lavoro psichico di società e gruppi.
Terza dispercezione: la non componibilità tra i bisogni individuali e quelli di coppia (e poi di famiglia). Se l’individuo e i suoi inalienabili bisogni ed interessi sono diventati narcisisticamente troppo “importanti”, la coppia non sa più trascendersi, cioè i suoi membri non sanno più decentrarsi e pensarsi come adulti e generativi. Accade sempre più spesso attualmente che il desiderio di genitorialità in molti si sleghi e venga dimenticato annidandosi in zone sempre più remote della psiche, salvo poi riemergere (specie nelle donne) in zona cesarini, talora troppo tardi. S’insinua così in molte nuove coppie una sorta di vera e propria angoscia generativa che talora rende impensabile la genitorialità.
Capita dunque che si esili dalla coscienza di individui e coppie il progetto della nascita dei figli e della formazione di una famiglia, che improvvisamente perde di significato e di peso specifico, passa sullo sfondo, in certi casi un vero e proprio argomento tabù, che scatena emozioni arcaiche e angosce incontrollabili. Il patto di molte coppie, fin tanto che dura, sembra fondarsi proprio sul non toccare mai, se non tangenzialmente o solo parzialmente, proprio quei punti cha le porterebbero a mutarsi in coppie generative e poi famiglie. A volte questi temi emergono alla coscienza del sistema coppia e vengono derubricati, ideologizzati, procrastinati (di fatto rimossi); più spesso rimangono chiusi a chiave a doppia mandata nello sgabuzzino della mente di individui e coppie (cioè denegati) producendo alla lunga uno stallo.
Quarta dispercezione: gli impegni coniugali, e poi anche genitoriali, sono vissuti come irraggiungibili, eccessivamente responsabilizzanti oppure come mortificanti. L’idea di avventurarsi prima in una relazione stabile, quando si è giovani, e poi, crescendo, in un vero e proprio patto coniugale; e poi ancora successivamente decidere di avere figli, è diventato oggi nell’immaginario collettivo qualcosa che oscilla, a seconda dei casi, tra la sensazione della scalata di una montagna a mani nude e un vissuto mortificante di claustrofobia. Nel primo caso (la scalata a mani nude) gli obiettivi maturativi (in un mondo nel quale a 40 anni e oltre è facile non aver raggiunto una stabilità rispetto al lavoro e ad una identità sociale) caratteristici del mondo adulto sembrano non riguardare minimamente molti contemporanei i quali sembrano vivere in una sorta di immutabile stato di sospensione postadolescenziale dove non vige lo stesso sentimento di adultità e di cittadinanza delle generazioni precedenti, considerate di fatto irraggiungibili. Nel secondo caso (la claustrofobia) l’ipotesi di un impegno stabile sembra gravare come una sorta di ergastolo a carico della propria autodeterminazione, realizzazione personale, inalienabile ricerca della felicità. Si preferisce così pensare alle relazioni come “rottamabili”, non impegnative, reversibili, concepibili solo se gratificanti, dal momento in cui ogni carattere di irreversibilità (e non c’è nulla come la genitorialità ad essere irreversibile) diventa esperienza di mortificazione di sé. Spesso questi vissuti vengono avvalorati circolarmente da esperienze precedenti dolorose e/o dall’osservazione quotidiana relativa ai frequenti fallimenti e fregature a cui va incontro chi ci circonda.
Quinta dispercezione: la progettualità sine die. Oggi ci sentiamo “giovani” ben oltre i 50 anni, ma questo vissuto, già di per sé dispercettivo, direi quasi-delirante (e culturalmente veicolato), dentro la coppia crea un irreale clima di impasse a-progettuale.
La penetrazione del modello economico nella vita di tutti noi non è stata priva di conseguenze. L’imposizione dei codici iper-consumistici conduce ognuno di noi ad una revisione delle scale valoriali e delle rappresentazioni identitarie-sociali: da cittadini a consumatori infantilizzati (Barber B. R., 2010), questo è il passaggio-chiave al quale abbiamo assistito negli ultimi decenni, le cui conseguenze riverberano a cascata non solo sui comportamenti di acquisto, sempre più infantili ed impulsivi, ma perfino sulla struttura della famiglia, i suoi ruoli e le sue regole relazionali. La funzione identitaria del soggetto consumatore è diventata soverchiante rispetto ad ogni altra all’interno delle relazioni affettive e familiari. L’agenda dei compiti personali ha cambiato aspetto e contenuti. Subentrano nuovi compiti maturativi ed identitari e ne escono o si rendono periferici alcuni altri fino a poco tempo fa centrali e generatori di senso per la vita degli individui. Tra i compiti che risultano esclusi o resi periferici, ad esempio, non è più essenziale realizzarsi come adulto dentro progetti di coppia e famiglia entro un tempo ragionevole; non è più essenziale ugualmente realizzarsi come genitori e come fondatori e responsabili di nuove famiglie. Entrambi compiti questi che fino al secolo scorso, in genere, erano assolti entro la seconda (più raramente la terza) decade della vita, cioè molto prima di oggi. Nell’arco di alcuni decenni la formazione della famiglia ha visto slittare di molti anni (dalla fascia 18-25 alla fascia 30-50) il proprio progetto.
Sesta dispercezione: se la coppia non è più mezzo ma fine, il partner diventa per noi “tutto”, cioè totipotente e sufficiente, su di lui si riversano le nostre aspettative totalizzanti. E perciò le relazioni diventano fatalmente sempre deludenti. Uno degli esiti dell’affermazione della ratio economicistica è la progressiva enfatizzazione delle aspettative relazionali verso il partner. Il partner diventa una sorta di ultima spiaggia sul quale depositare, in modo compensatorio, tutti i bisogni residuali della vita socio-affettiva. In tal modo il partner deve poter corrispondere ad una figura combinata in grado sia di compensare le lacune identitarie, sia di rispondere alle insicurezze affettive che la nuova configurazione socio-culturale ha creato. Deve essere perciò una sintesi perfetta di figure parziali familiari e sociali, un loro assemblato che appaia “economicamente” conveniente: genitore, compagno/a, figlio/a, amico/a, fratello/sorella, amante, garante e assicuratore sociale, e così via.
Niente più delle fantasticherie giovanili corrisponde così precisamente al portato culturale di una valutazione di mercato, di concorrenzialità tra fattori favorevoli e auspicabili di un partner considerato non solo compatibile con sé, ma come ideale, adatto in sé, giusto. Ed anche qui l’idea che la coppia sia un sistema di accudimento reciproco altamente imperfetto non può proprio essere metabolizzata.