La fine del dominio sul corpo della donna
Accanto alla storico-antropologica del precedente capitolo, occorre a questo punto ricostruire anche i momenti storici più recenti. Tre date, negli ultimi decenni del XX secolo, vanno considerate come paradigmatiche dei passaggi storici che attestano probabilmente il fenomeno socio-culturale più rilevante dello scorso secolo (almeno in relazione alle tematiche delle coppie e famiglie che qui si trattano), e cioè l’avanzamento al centro della scena sociale della soggettualità femminile.
Prendendo in considerazione la società italiana (ma tale processo è analogo, solo con lievi sfasamenti cronologici, in tutto l’occidente) queste date sono:
- 1959 introduzione della pillola anticoncezionale: si realizza lo svincolo dall’obbligo di procreazione che passa definitivamente sotto il controllo esclusivo della donna, diversamente da quanto avveniva prima con l’uso di altre tecniche anticoncezionali pre-esistenti.
- 1970 legge sul divorzio: cambia il diritto di famiglia e finisce la subalternità (economica e psicologica) della donna nella coppia la quale si svincola dal ruolo coniugale obbligato. Sono infatti le donne in maggioranza a richiederlo.
- 1979 legge sull’aborto: si sancisce definitivamente la libera autodeterminazione al concepimento desiderato da parte della donna svincolandola dal ruolo obbligato di madre.
Il recepimento culturale, nonché sociale e giuridico, ricordato da queste tre date esemplificative, dei cambiamenti avvenuti riguardo il ruolo emergente della donna nella società, non si limita naturalmente a pillola, divorzio e aborto. Tali novità mettevano fine al controllo sociale su maternità e coniugalità femminile e al suo ruolo eminentemente sacrificale, ma il percorso di arrivo a questi risultati è stato lungo e laborioso. Tale percorso è passato attraverso il cambiamento della società nel complesso ed in particolare, riguardo le donne, attraverso l’accesso allo studio (interdetto alle donne, tranne rare eccezioni, fino a poche decine di anni fa) e alla formazione; attraverso il loro progressivo avanzamento nel mondo del lavoro che le società prima industriale e poi soprattutto post-industriale richiedevano; lo svincolo dall’allattamento naturale dei lattanti; l’ausilio di strutture pubbliche alternative come gli asili-nido o l’ausilio di collaboratori domestici. A tutto ciò è conseguito una necessaria ri-contrattazione all’interno delle coppie avvenuta negli ultimi decenni su diversi piani, simbolici e pratici a cominciare dallo svincolo dal ruolo casalingo prevalente, fino alla fine della dipendenza economica dal maschile, passando per il quasi totale annullamento delle differenze di compiti e competenze familiari e sociali a partire dal fattore genere sessuale.
Senza entrare in complesse analisi storico-sociologiche che ci porterebbero lontano, mi preme sottolineare un dato che appare cruciale nell’analisi che qui sto svolgendo. Mi riferisco all’esito “biopolitico” di questi cambiamenti, che si potrebbe sintetizzare nel cambio di proprietà del corpo femminile che si sottrae al governo socio-culturale delle prescrizioni religiose e culturali inerenti la vita della famiglia e sociale, per definirsi in una giurisdizione autodeterminata. Si realizza così la fine del dominio sul corpo della donna, in precedenza reso disponibile alle esigenze di stabilità e continuità sociale in termini di ruoli e funzioni, ed ora invece indisponibile a tali esigenze ordinatrici.
La conquistata soggettualità sociale ed autogoverno della donna rappresenta quindi un passaggio culturale fondamentale, un viraggio di rappresentazioni sociali per il quale, ad esempio, la donna non è più costretta ad essere incatenata al ruolo di madre di famiglia, ma è chiamata a svolgere una pluralità di funzioni personali e sociali ancora oggi non compiutamente armonizzabili (la vita delle donne si è maledettamente complicata).
La ri-negoziazione all’interno della coppia paritaria
Svincolata, anche se non totalmente e definitivamente, la donna da una doppia dittatura: da una subalternità nella coppia rispetto al ruolo maschile dominante e dalla dittatura dell’allevamento dei figli, ne consegue un’inevitabile ri-negoziazione all’interno della coppia che disarticola i sistemi valoriali e relazionali che fino a poco prima avevano concorso alla stabilità della coppia. Cambiano di conseguenza anche ruoli e funzioni (sociali e psichiche) maschili, con tutto il portato di crisi della virilità di cui si parla tanto ovunque. Cambia dunque l’orizzonte generale di regole relazionali dentro il quale la coppia si muove obbligando gli uomini ad accettare la parità della donna e a condividere tutte le incombenze inerenti la conduzione quotidiana – economica, logistica, morale – di coppia e famiglia.
In questa ri-negoziazione tra sessi, la coppia e i suoi individui non possono far riferimento a modelli relazionali precedenti, ed è costretta ad inventarsi di sana pianta un modello ad hoc di volta in volta a partire dalle caratteristiche specifiche ed uniche di ogni coppia.
Cosa viene chiesto, in sintesi, agli individui affinché esista la coppia contemporanea a seguito di tale ri-negoziazione?
- Alla donna si chiede di esercitare una soggettualità sociale che comprende il lavorare e l’occuparsi del mondo relazionale, affettivo e familiare allo stesso tempo
- All’uomo di rinunciare alla leadership e di condividere tutto alla pari
- Alla coppia si chiede di autofondarsi e autodeterminarsi
Il Piano Economico-Politico
Stiamo lentamente planando verso il cuore della trasformazioni strutturali che hanno cambiato da pochi decenni a questa parte i codici delle coppie contemporanee plasmandone la loro inedita instabilità.
Dopo aver visto alcune statistiche che testimoniano l’andamento inequivocabile della mutazione in corso, e dopo aver appena visto i principali cambiamenti sul piano storico-antropologico, arriviamo al centro di questa analisi. Strettamente legato al piano dei cambiamenti storici, occorre dunque osservare le più significative trasformazioni socio-culturali avvenute negli ultimi decenni. Tra queste, quella che mi è sembrata più rilevante riguarda l’affermazione nel mondo occidentale del modello economico e del suo portato culturale nella vita quotidiana. Mi riferisco alla progressiva economicizzazione come matrice di senso del presente e come canovaccio sul quale tutti i soggetti sociali, comprese le coppie e gli individui delle coppie si muovono. Riconoscere come radice dell’agire e del sentire umano contemporaneo il piano economico non significa certo ridurre l’individuo e la società a meri corollari di tale piano, ma significa piuttosto individuare nell’economia la principale centrale di costruzione della realtà dalla quale discendono tutte le altre trasformazioni sociali.
Il modo di vita neo-liberale, nelle sue varianti postbelliche codificate in Europa e in special modo Nord America, che abbiamo esaminato soprattutto nel primo capitolo, corrisponde interamente agli stili di vita contemporanei e ai modelli prevalenti di uomo moderno e traccia i percorsi esemplari del comportamento razionale in tutti gli ambiti dell’esistenza, compresa la vita privata e sociale.
L’uomo economico contemporaneo, anche grazie ai più recenti meccanismi di diffusione dell’informazione di massa della globalizzazione e degli stili di vita da essi veicolati, diventa il massimo della prevedibilità, governabilità, maneggiabilità, flessibile e reattivo alle modifiche ambientali, nella fattispecie le regole del gioco indotte dal mercato.
Negli ultimi decenni assistiamo dunque, ad un inasprimento di modelli di vita compressi fortemente sul modello economico, su un’idea di razionalità fondata sul concetto di interesse individuale e di utilitarismo, su un concetto di adattamento legato all’accettazione an-etica e a-teoretica della realtà, su un modello di uomo impresario di se stesso sul lavoro come nella vita privata. In sole due-tre generazioni, in un tempo cioè brevissimo (ma dopo lunga incubazione precedente), questi codici simbolici si sono sedimentati e affermati e costituiscono in sostanza, senza possibilità di deroga, l’aria che respiriamo, il cibo di cui ci nutriamo e di cui siamo composti, il software monopolistico che rende utilizzabile il nostro sistema operativo.
In questa chiave e alla luce di questa analisi culturale, appare ancora più comprensibile come anche le regole d’ingaggio della vita di coppia siano mutate profondamente.
Se è infatti una razionalità economica a presidio dell’interesse individuale a governare anche le scelte affettive, i calcoli interiori che vengono svolti nell’approccio all’impresa di coppia sono diventati, come intuibile, in buona parte contrari alla vita di coppia. L’interesse individuale si propone fisiologicamente come contrario rispetto all’interesse di coppia e all’interesse familiare.
È tutta la vita di coppia, in quanto fondata su presupposti antropologici precedenti a questa nostra epoca, che è diventata intrinsecamente svantaggiosa, “antieconomica” in tutte le sue forme:
- richiede un enorme investimento iniziale di energie psichiche che monopolizza l’individuo verso una meta assoluta e prioritaria;
- distoglie in molti casi e per un certo periodo dalle proprie finalità sociali e personali;
sposta la centrale d’interesse da “me” a “noi”; - è un investimento sommamente incerto e per certi versi aleatorio, sottoposto a variabili imprevedibili (l’altro).
- è un investimento, secondo i nuovi criteri psico-economici, irrazionale: la soddisfazione soggettiva dell’individuo sotto l’egida del suo interesse individuale non giustifica in nessun modo di investire per tutta la vita su una sola persona
- determinando uno spostamento di asse decisionale dall’individuo alla coppia, implica una condivisione/responsabilizzazione che trascende l’individuo e che implica l’altro, e costringe perciò l’individuo a compromessi e a cambiamenti negli usuali stili di vita pregressi;
- costringe altresì in qualche misura alla continua revisione del proprio orizzonte valoriale che risulta oltremodo faticosa e incerta.
Il Vettore Generativo
Ma l’antieconomicità della coppia è, ricordiamolo, soprattutto un portato culturale, le cui complesse ragioni affondano le radici in molti altre variabili.
L’istituzione matrimoniale ed il tasso di natalità (e di fecondità), di cui abbiamo detto in precedenza, rimandano ad aspetti antropologici sui quali ogni società di ogni epoca e di ogni luogo ha fondato se stessa e le sue regole. Parliamo dunque di strutture psichiche ampiamente sedimentate e sulle quali è immaginabile si siano costruite nei millenni le regole implicite ed esplicite della vita di coppia, dell’approccio ad essa (le regole d’ingaggio), e di tutte le rappresentazioni e codici semantici, connessi. I dati confermano che in Italia la stragrande parte dei figli nasce ancora dentro il matrimonio, mentre i figli nati in unioni differenti sono ancora una percentuale relativamente bassa (seppure in crescita).
Se la coppia porta all’unione e l’unione porta alla generatività, tale vettore va inteso, psicologicamente, anche come inverso. La coppia da forma all’unione stabile che da forma a sua volta ai codici generativi, ma viceversa invertendo la freccia, accade anche che è la generatività e l’unione stabile a dare forma alle regole d’ingaggio della coppia, anche a quella iniziale.
In tale effetto di retroazione psicologica troviamo significati nuovi per la nostra analisi in quanto non è solo il presente ed il passato di una coppia che ne determina il futuro, ma è il possibile futuro, iscritto nei codici sociali prevalenti, che rende possibile nascita ed evoluzione di una coppia. Coppia, famiglia e generatività si situano su un continuum psicologico atemporale unico e indissolubile che costituisce un piano psichico profondo dell’individuo.
Le implicazioni di questo intreccio psichico sono innumerevoli nel momento in cui esso va a descrivere scenari differenti a seconda della capacità di ogni individuo e di ogni coppia nell’immaginarsi e poi collocarsi, fin da giovanissimi, dentro o fuori il percorso qui descritto – coppia, famiglia e generatività –scoprendo così il ruolo delle rappresentazioni culturali (a loro volta informate da aspetti socio-economici) in questo gioco di forze in campo.
Scopriamo così nuovi significati dell’antieconomicità della vita di coppia radicatisi proprio in questi ultimi decenni.
Ragazze non sposatevi!
Così recita, infatti, il titolo di un lampante articolo dell’Espresso del 2 Febbraio 2010 di Sabina Minardi, nel quale si analizza, con taglio giornalistico, la progressiva presa di coscienza della cultura occidentale della sconvenienza totale del matrimonio, in particolar modo da parte delle donne, costrette a sobbarcarsi il peso di un “istituto” (il matrimonio) che ormai, alla luce di quanto sta avvenendo nella società, ha perso ogni senso ed è dunque da archiviare al più presto tra le anticaglie della modernità. Come un oggetto di modernariato, appunto.
Tale sconvenienza si palesa, a mio parere, a partire proprio dai criteri di valutazione economica che qui stiamo descrivendo.
Ciò che fino a poco tempo fa corrispondeva ad una forma di realizzazione di sé (sia per uomini che per le donne) ed in particolare per le donne costituiva, ulteriormente, uno dei principali modi di uscire dalla giurisdizione paterna e materna e fare le proprie esperienze, è diventato oggi una vera e propria fregatura da molti punti di vista: per il lavoro e la carriera, per la gestione del tempo, per l’arrivo dei figli, e così via. L’articolo mette insieme molte voci, ben documentate e motivate, contrarie al matrimonio e suggerisce il suo superamento verso auspicabili facilitazioni legislative, culturali ed economiche.
Peccato però che tali facilitazioni non si riscontrino quasi per niente nella realtà sociale italiana e che la politica sembri curiosamente remare contro la formazione di nuove coppie e nuove famiglie. Come mai?
La politica contro coppie e famiglie
È possibile scorgere, soprattutto in Italia, una posizione della politica nella direzione dell’inconciliabilità strutturale/modellistica tra le esigenze delle coppie in formazione e delle famiglie e quelle della programmazione politico-economica.
Interloquisco qui anche con le inquietudini e le domande sollevate dal già citato libro di Roberto Volpi, La fine della famiglia, dove si pone l’urgenza del sostegno alle donne, alle coppie e alle famiglie affinché la società (italiana) non scompaia.
Appare evidente che esiste un’incompatibilità ideologica tra le auspicate (e mai realizzate seriamente) politiche per giovani coppie e famiglie e l’andamento generale della cultura e della politica. Non c’è alcun motivo speciale, infatti, per il quale, nella logica del libero mercato e dei suoi dettami psichici e comportamentali, la coppia dovrebbe godere di deroghe e di un trattamento privilegiato rispetto al principio di autodeterminazione dominante. La coppia (e poi anche la famiglia) si colloca come qualunque altro soggetto sociale rispetto al libero mercato. La coppia e soprattutto la famiglia tendono, inoltre, a spendere poco, a risparmiare a guardare al futuro, comportamenti questi che mal si conciliano con il diktat prevalente della nostra epoca: godi, spendi e muori! Infatti il comportamento di risparmio è diventato oggi una assoluta rarità, anche nelle famiglie con tradizioni sobrie alle spalle, e questo dipende certamente dalla maggiore povertà (in termini assoluti) esistente, ma non solo. Sembrerebbe piuttosto un ulteriore cambiamento di costume indotto dai nuovi stili di vita. Le prossime generazioni pagheranno amaramente quanto stiamo loro apparecchiando.
E dunque vediamo che i capitoli dei programmi elettorali di ogni formazione politica alla vigilia di ogni elezione, infarciti di grandi propositi, sono risultati fino ad oggi carta straccia, semplice retorica atta al rastrellamento di consensi e di voti, e tutti i proclami riferiti a matrici etiche, sociali e religiose per il sostegno economico e sociale di coppie e famiglie dei vari partiti in campo sono solo fumo negli occhi per occultare la triste realtà che vede la famiglia non certo come nucleo umano e bersaglio delle politiche di sostegno, ma essenzialmente come soggetto economico e nucleo primario di consumatori più o meno adeguati. È inimmaginabile, alle attuali condizioni etico-politiche, un corso diverso da questo culturalmente prescritto.
Realizzazione di sé e costruzione della coppia e della famiglia seguono ormai ideologie opposte e contrarie e certa politica risponde più facilmente all’incanto e ai desideri di una realizzazione di sé anarchica e priva di vincoli personali e sociali.
Occorrerebbe dunque una inversione a 180° che può essere ispirata soltanto da una consapevolezza diffusa che tutta la nostra società sta alacremente tagliandosi il ramo dove è seduta (spopolamento, denatalità, frammentazione sociale, annichilamento del bene comune, indifferenza per il futuro dei nostri figli; etc.).
Il timore è che ci si accorga di questo quando ormai sia troppo tardi è davvero grande.
Ma vediamo ora le ricadute psicologiche concrete sulle coppie contemporanee di tutte queste recenti trasformazioni socio-culturali e come è diventata laboriosa la costruzione della coppia nella nostra epoca.